“La band che unisce i popoli” – Il Corriere della Sera
Musica ponte tra popoli, ecco le note «fuse» della band del mare Adriatico
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Bandadriatica è composta da musicisti e marinai che viaggiano sulle rotte del Mediterraneo per suonare con artisti locali, il risultato sono dei brani oltre le barriere linguistiche.
Claudio Prima è di Lecce, ma potrebbe essere greco, potrebbe essere albanese, persino turco. Non solo perché è un bel ragazzo bruno e con i lineamenti che ricordano una statua greca, ma anche perché Claudio è un musicista che non suona se non «fondendosi» con gli strumenti degli altri popoli del Mediterraneo. Claudio e gli altri componenti di Bandadriatica, la formazione della quale Prima è frontman, sono dei musicisti-marinai: compiono traversate a bordo di un veliero per raggiungere città che si trovano dall’altra parte dell’Adriatico (e di altri «angoli» del Mediterraneo) e solo allora, dall’incontro con le band locali, nasce la musica, quindi il concerto e poi il disco. «Tutto è cominciato dieci anni fa: nel 2008 – spiega Claudio, raffinato interprete dell’organetto, davanti a una puccia leccese, un panino farcito – abbiamo trovato quello che ci mancava. Cioè un antico veliero, di nome Idea 2, con tanto di capitano. L’imbarcazione perfetta per completare la nostra aspirazione, che non è mai stata solo suonare». Bandadriatica è un complesso pugliese che «riscrive» a modo proprio i suoni della tradizione salentina, a cominciare dalla pizzica (una delle forme musicali pugliesi più popolari), in chiave originale, dove ci puoi trovare echi di Bregovich, di Kusturica e di altri musicisti che sembrano lontani da noi, ma che in realtà sono molto vicini alla nostra sensibilità.
La musica come ponte
«È questo il punto: noi partiamo dal presupposto che i croati, gli albanesi, i greci, i turchi siano molto simili a noi, anche se parliamo lingue diverse. Così — continua il musicista, 43 anni e una compagna danzatrice — una volta trovato il veliero abbiamo deciso di fare una musica marinaia, dove il viaggio non è meno importante dell’arrangiamento, dove il lavoro a bordo della nave non ha un valore inferiore alla scrittura di un testo». Funziona così: prima la banda prende accordi con produttori e organizzatori di eventi musicali di una città dell’altra sponda, poniamo Durazzo, in Albania. Viene scelto il gruppo musicale con cui incontrarsi «che però — precisa Prima — noi non conosciamo e che incontreremo per la prima volta solo al termine del viaggio». Quindi, si parte. E la loro non è una parodia del velismo: Claudio e compagni prendono molto sul serio il lavoro a bordo. «Ci dividiamo i compiti, rispettiamo le regole della convivenza in barca: in una parola, fatichiamo tutti insieme». Quindi, l’approdo in terre che sono opposte solo in senso geografico, perché, in realtà, sono «terre cugine», terre con le quali resistono antichi e vivissimi legami. «Arriviamo, incontriamo il gruppo che ci aspetta, quindi il tempo di stringerci la mano, di accordare gli strumenti e cominciamo a suonare». Così, al posto delle parole la musica diventa il vero linguaggio universale che trascende l’appartenenza ad un popolo. E loro suonano vestiti da marinai, proprio come degli esploratori di mondi emersi.
Parlarsi con i suoni
Questo è il piccolo miracolo che si ripete ogni volta: «Non ci capiamo a parole perché evitiamo di parlare inglese, idioma universale, e ovviamente io non so il greco o l’albanese – racconta Claudio – e loro sì e no sanno poche parole di italiano. Così ci esprimiamo tramite la tradizione musicale adriatica», che in questo modo si riappropria di pezzetti sparsi di qua e di là dal mare. È il Mar Adriatico stesso con tutti i suoi misteri, ripercorso a ritroso nel tempo, alla ricerca di ciò ha preceduto la sua diaspora. «Perché c’è stato un tempo in cui eravamo uniti — continua il musicista — e certe sonorità riaffiorano quando ci incontriamo».
Da sempre sorretti da Puglia Sounds, il sistema pugliese che promuove la propria musica all’estero, quelli di Bandadriatica hanno suonato, per esempio, con il cantante albanese Bojken Lako al Festivali i Këngës a Tirana, oppure «il trombettista slavo ‘King’ Naat Veliov ha scritto con me a quattro mani un esperimento di contaminazione salentino-macedone in cui l’organetto ha incontrato la tromba del leader della Kocani Orkestar», ricorda Claudio. Gli arrangiamenti di solito sono in due fasi: c’è un primo lavoro fatto da chi compone il brano e poi un lavoro d’insieme nel quale ognuno propone delle idee in sala prove. In questo modo il brano si nutre dell’esperienza di tutti i musicisti. E tralasciamo il divertimento nel fare insieme un pezzo di musica, perché Claudio accenna solo di sfuggita a notti sulla spiaggia, atmosfere da ragazzi in vacanza.
Da Venezia a Capodistria, da Dubrovnik a Durazzo fino a Otranto: il viaggio musicale che unisce i popoli inventa sempre nuove rotte. Tanto è vero che a settembre il gruppo uscirà con un nuovo lavoro, dal titolo Odissea. Inutile chiedere come nasce il nome perché è evidente, però è il risultato di una serie di incursioni orientali e di un ritorno a casa, perché, cosa importante, poi molti dei musicisti che Bandadriatica incontra dall’altra parte del mare arrivano in Puglia e suonano, a loro volta, in Italia.
Contro i sovranismi
Superfluo anche dire che la musica di Claudio e degli altri è un invito ad abbattere i confini e a riscoprire la bellezza delle contaminazioni. «Nel tempo della divisione e della confusione, nella Babilonia moderna dell’incomunicabilità e del razzismo, l’arte deve armarsi e riappropriarsi di un ruolo attivo, decisivo. Niente rivoluzioni, niente aggressività, niente toni alti: semplicemente la convinzione di fare una cosa di qualità e di spessore. L’incontro tra culture diverse non è un atto politico, ma un atto di sopravvivenza».Nel 2008 Prima è stato ideatore e promotore del progetto «Rotta per Otranto», 15 musicisti, un veliero e 400 miglia in adriatico, esperimento di viaggio e ricerca delle musiche d’Adriatico che poi è diventato un film documentario e un cd dal titolo Maremoto. Che cosa gli ha insegnato questo turbinio di musica e viaggi? «Che spesso l’istinto a respingere chi avvertiamo come diverso da noi non è altro che paura, paura immotivata dell’altro. Incontrando gli altri e condividendo con loro l’alfabeto della musica, si impara che queste paure nascono e muoiono dentro di noi». Lui studia pianoforte dall’età di quattro anni, poi l’incontro con la musica popolare, una folgorazione.«Quando ascoltai per la prima volta la pizzica salentina, cominciai a suonare quello per giorni, chitarra e tamburello, mi pareva di impazzire». Ma quello di Claudio è un percorso che in teoria non finisce mai, perché «le radici culturali sedimentate nelle melodie dei diversi paesi del Mediterraneo conservano un’energia ancestrale». Cioé dall’incontro tra radici diverse affiorano mondi sommersi senza fine.
Il caso albanese
«L’Albania — prosegue l’organettista — è un caso molto particolare. Fino alla fine degli anni Ottanta quel Paese è stato di fatto chiuso ad ogni stimolo esterno, a causa delle severe imposizioni del regime filosovietico. Negli anni, insomma, in cui da noi il pop esplodeva con i suoi elementi più celebri, da Madonna a Michael Jackson, a Tirana il governo promuoveva ancora le musiche tradizionali e, soprattutto, ne proteggeva la memoria integra. Ecco perché l’incontro con la musica albanese è stato tra i più sorprendenti: abbiamo scoperto sonorità e strumenti che nemmeno sapevamo esistessero». La musica come scoperta e come collante, insomma. E ci si prepara al prossimo viaggio. Che a questo punto dovrà aspettare l’anno nuovo, perché anche progetti come questo, sempre in movimento, hanno bisogno di un tempo di riposo. E di decantazione. Per ora si sta in porto, ma la coscienza è sempre vigile.
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